Andres Iniesta, il potere della calma durante la tempesta

Pubblicata il 21/03/2022
Andres Iniesta, il potere della calma durante la tempesta
©Shutterstock/No use without permission
La drammaturga statunitense Jean Kerr diceva: "Se riesci a mantenere la calma quando intorno a te tutti hanno perso la testa, può darsi che tu non abbia afferrato bene la situazione”, oppure molto più semplicemente, non hai mai visto giocare Andres Iniesta, e nel secondo caso sarebbe un vero peccato. Un calciatore nato per il piacere del gioco, con quella naturale predisposizione ad assumere il pieno controllo della partita, per un senso dell'estetica mai fine a sé stesso, ma fondamentale per realizzare sempre la giocata giusta, soprattutto nei momenti di difficoltà, quando orde di avversari lo circondano a caccia di quel pallone, a cui dà del tu e che resta immancabilmente attaccato ai suoi piedi. Queste sono solo alcune delle qualità di "Don Andres", come riconosciuto anche da Javier Zanetti, nel corso di un'intervista a Calcio.com, dove ha definito lo spagnolo un calciatore "in grado di mantenere la calma anche nei momenti di massima tensione". Massima tensione come quel 11 luglio 2010 a Johannesburg, finale di Coppa del Mondo tra Spagna e l'Olanda. È il minuto 115 di un match duro, che può portare le due nazioni per la prima volta sul tetto del mondo, ma che sembra ormai destinato i calci di rigore. Non per il mago di Fuentealbilla, che dopo aver ricevuto un assist da Cesc Fabregas, sfoga tutta la rabbia di un mondiale che sembrava essergli sfuggito per un infortunio, in un destro imparabile che spinge la Roja lassù nell’élite del calcio. Un gol così potrebbe essere già abbastanza per la gloria eterna, ma forse la successiva esultanza assume una valenza ancora maggiore. "Mi tolgo d’istinto la maglietta di gioco, non si impiglia anche se sto correndo. Sembra la scena di un film da quanto perfetta mi viene", spiega, e sotto c'è una scritta fatta poche ore prima con un pennarello tanto semplice quanto emozionante: "Dani Jarque siempre con nosotros", in ricordo del centrocampista dell'Espanyol, scomparso prematuramente l'anno precedente a Coverciano, prima di un'amichevole tra gli spagnoli e la Fiorentina. Un altro talento di quella splendida generazione d’oro iberica, che molto probabilmente quella sera sarebbe stato lì a festeggiare sul campo il titolo iridato.
Un 2010 in cui è mancato inspiegabilmente il "Pallone d'Oro", errore poi riconosciuto anche dai giurati di France Football, fatto unico nella storia, ma anche la Champions League con il suo Barcellona, vinta proprio dall'Inter capace di eliminare i blaugrana in una semifinale thrilling. "Iniesta e il Barcellona si sono trovati insieme nel loro miglior momento. In quel caso furono due sfide molto sentite, contro la migliore squadra del mondo. All'andata vincemmo meritatamente, al ritorno ci ritrovammo subito in 10, contro una squadra difficile da affrontare 11 contro 11, ma quella sera si è vista la forza della nostra squadra che ha fatto di tutto per arrivare alla finale di Madrid", spiega sempre Zanetti. Ha ragione l’ex capitano dell’Inter, Iniesta e Barcellona sono stati per anni un binomio perfetto come spiega, forse solo in parte, una bacheca senza senso: 9 campionati spagnoli, 7 Coppe del Re, 6 Supercoppe spagnole e soprattutto 4 Champions, 3 mondiali per club e 3 Supercoppe Europee. Una squadra fantascientifica, soprattutto sotto la guida di Pep Guardiola, che a lui e al suo gemello Xavi ha subito assegnato, con risultati eccelsi, le chiavi del gioco. Erano loro a gestire il ritmo della bellissima danza blaugrana, a decidere quando accelerare o addormentare il ritmo, e soprattutto quando era ora di vincere, praticamente sempre. Come a Stamford Bridge nel maggio 2009, semifinale di Champions League contro un Chelsea giunto a pochi attimi dall'eliminare i favoriti catalani. Quando tutti aspettano il guizzo di Messi o Eto'o, a risolverla ci pensa ancora lui a centrare il gol qualificazione, al minuto 93, con un esterno destro chirurgico da fuori area, una parabola quasi irreale che solo un artista poteva tirar fuori in quegli istanti. Una sliding Doors nella storia del Barca, che da lì aprirà un ciclo forse irripetibile, giocando forse il calcio più bello di sempre, anche grazie alla genialità di un vero gigante del calcio, a dispetto dell’altezza, un “semplificatore” di uno sport che in tanti tendono a complicare, ma che viene risolto sempre da giocatori così, baciati sì dal talento ma dalla mente fredda e dal cuore caldo.