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Edmundo, croce e delizia: la carriera turbolenta di “O Animal”
Pubblicata il 05/04/2022
©Shutterstock/No use without permission
Edmundo Alves de Souza Neto, meglio noto come Edmundo, è il classico giocatore che si ama o si odia. Un talento e una personalità del genere non possono lasciare insensibili chi vive con passione il “futbol”, proprio come “O Animal”, uno dei soprannomi più esplicativi del mondo del calcio che ben definisce un calciatore tanto fenomenale quanto ingestibile. Il nativo di Niteroi ci mette poco a lasciare il segno, tanto da esordire poco più che ventunenne nella nazionale brasiliana in anni in cui la concorrenza lì davanti è di assoluto livello. Subito due campionati vinti tra 1993 e 1994 con il Palmeiras e un rapporto di odio e amore con il tecnico del club Wanderlei Luxemburgo che gli regala la partecipazione alla Copa America ’93, ma gli impedisce di partecipare alla campagna vincente di Usa ’94 a causa di una sospensione rimediata dal club biancoverde proprio per un litigio violento con l’allenatore. Quello con la nazionale verdeoro, tanto per cambiare, è un rapporto controverso: nel 1997 è protagonista nella coppa continentale vinta in Bolivia proprio in finale contro i padroni di casa, una partita in cui segna il definitivo 3-1 ma sferra anche un pugno in pieno volto a Cristaldo, gesto non visto dall’arbitro ma dal ct Zagallo che lo richiama subito in panchina perché “in un momento può rovinare tutto” come successe infatti nella sua prima esperienza fuori il Brasile con la maglia della Fiorentina. Dopo un primo spezzone di stagione non facile con Alberto Malesani, l’anno successivo Giovanni Trapattoni punta forte su di lui e i risultati gli danno ragione fino al 7 febbraio, data dello scontro diretto contro il Milan, il giorno dell’infortunio di Batistuta. Un evento che manda in crisi tutta la piazza, ma non Edmundo che sfruttando una clausola presente nel contratto abbandona tutti per partecipare al Carnevale di Rio, “condannando” i viola al terzo posto finale proprio per i punti persi nel mese di febbraio. Un errore che a Firenze non perdonarono e lo costrinse ad andar via, in una delle tante sliding doors della sua carriera, comunque straordinaria, ma troppo limitata dal suo modo di essere così senza filtri.