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Juventus-Cagliari, quando la sfida tra bianconeri e sardi valeva lo scudetto

Pubblicata il 21/12/2021
Juventus-Cagliari, quando la sfida tra bianconeri e sardi valeva lo scudetto
©Shutterstock/No use without permission
Oggi sembra strano perfino parlarne, guardando la classifica, ma ci fu un tempo in cui Juventus e Cagliari si giocarono un pezzo di scudetto nello scontro diretto. Bisogna risalire ai primi vagiti degli anni Settanta, un periodo un po' particolare, in cui il monopolio calcistico sull'asse Milano-Torino sembrava svanito. Così, nel 1969 lo scudetto era finito alla Fiorentina "Ye Ye" di Pesaola, De Sisti e Chiarugi. E l'anno dopo, al comando si era posto appunto il Cagliari, trascinato da un gigante come Gigi Riva e da un tecnico naif come il "filosofo" Scopigno. La Juventus era in un delicato periodo di rifondazione, a partire dall'assetto societario, che proprio in quella stagione aveva visto l'avvento di Giampiero Boniperti, ex grande capitano, nel ruolo di amministratore delegato. Di campioni ne erano rimasti pochi, per di più in età avanzata, come Haller e Del Sol, ma l'inserimento di giovani di valore (Anastasi, Cuccureddu, Morini, Furino) faceva intravedere la rinascita. In panchina fu chiamato l'argentino Luis Carniglia, che ebbe un approccio problematico e durò poco, sostituito da Rabitti, tecnico proveniente dalle giovanili. Sotto la sua guida, la Juve cominciò a marciare, tanto che risalì la china fino a sfiorare il primato del Cagliari. Il 15 marzo arrivò lo scontro diretto, al Comunale di Torino, con il Cagliari a 34 punti e la Juventus a 32. Per i bianconeri era l'occasione dell'aggancio (era ancora l'epoca dei due punti a vittoria) a sei giornate dalla fine una missione che parve a buon punto dopo mezz'ora, quando lo stopper del Cagliari Niccolai andò a spizzare un cross sul primo palo battendo il proprio portiere Albertosi e alimentando la sua fama di implacabile realizzatore di autoreti. Fu però Riva, proprio allo scadere del primo tempo, a mettere dentro l'1-1 con un colpo di testa. Nella ripresa, il protagonista principale fu Concetto Lo Bello, di gran lunga l'arbitro italiano più popolare di quegli anni. Bravissimo e attentissimo, talvolta però gestiva la partita in base ad antipatie e simpatie personali. Al quarto d'ora della ripresa concesse alla Juventus un rigore contestato. Batté Haller, trovando però il guizzo di Albertosi. I giocatori del Cagliari ebbero solo qualche attimo per festeggiare, perché Lo Bello, rilevando un movimento leggermente anticipato del portiere, fece ripetere il penalty. Colto da una crisi di nervi e di pianto, Albertosi si inchinò al rigore bis, stavolta calciato da Anastasi. A quel punto, Lo Bello, a cui Riva e altri avevano rivolto parole non certo gentili, fu forse colto da un subitaneo pentimento. Tanto è vero che, come una volta ha raccontato capitan Cera, si avvicinò a qualche giocatore rossoblù fornendo la soluzione del "caso". Dovevano semplicemente buttare la palla in area e creare qualche mischia, dopo di che ci avrebbe pensato lui. Detto fatto: a 8 minuti dal 90', su un pallone spiovente si udì il fischio di Lo Bello: rigore. Nessuno capì bene chi avesse commesso fallo e chi lo avesse subito, immagini successive mostrarono un contatto sospetto tra Salvadore e Riva. Dagli undici metri, Rombo di Tuono sigillò il 2-2 finale. La settimana successiva, la Juventus andò a perdere a Firenze e il Cagliari filò verso il suo storico scudetto. Neanche due mesi dopo, quattro colonne di quella squadra (Riva, Albertosi, Cera, Domenghini) erano sul prato dell'Azteca a giocarsi la coppa Rimet con il Brasile di Pelè.
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