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Nedved, Salas o Dybala: i personaggi che hanno fatto la storia di Lazio-Juventus

Pubblicata il 18/11/2021
Nedved, Salas o Dybala: i personaggi che hanno fatto la storia di Lazio-Juventus
©Shutterstock/No use without permission
Avversari storici, bestie nere reciproche, ma anche qualche bandiera condivisa: nella lunga storia dei rapporti tra Lazio e Juventus, che domenica daranno vita al confronto numero 186 in gare ufficiali, ci sono stati periodi di rivalità accesa alternati ad ampi interscambi in sede di mercato o dirigenziale. Basti pensare a Pavel Nedved, esploso nella Lazio di Zeman e poi di Eriksson e consacrato Pallone d'Oro nella Juventus, prima di acquisire una posizione apicale nella dirigenza bianconera. Un percorso inverso a quello di Dino Zoff, che con la Lazio ebbe a che fare solo da allenatore e dirigente (fu presidente nell'era Cragnotti), ma seppe entrare con l'acclarato carisma nel cuore del tifo biancoceleste. L'osmosi tra i due club cominciò nel calcio dei pionieri: nel 1925 i laziali Sclavi e Vojak volarono in bianconero, indotti da compensi da protoprofessionisti che la Lazio, ancora legata al dilettantismo, non voleva garantire. Sclavi, tra i migliori portieri della sua epoca, tornò alla base dopo un anno, mentre Vojak, mezzala molto portata per il gol, giocò con la Juve più di cento partite. Nel dopoguerra, a cavallo tra i Quaranta e i Cinquanta, la Lazio divenne la quarta forza del calcio italiano (dopo Juve, Milan e Inter) anche per l'innesto dei fratelli Lucidio e Vittorio Sentimenti, ceduti dalla Juve. Lucidio, chiamato Sentimenti IV, era un formidabile numero uno, portiere moderno ante-litteram, tanto che veniva criticato per l'abitudine a giocare qualche metro avanti rispetto alla sua linea di porta, atteggiamento che allora suonava quasi “eretico”. Vittorio, vale a dire Sentimenti III, divenne un emblema della “lazialità”, tanto da venir odiato dai tifosi romanisti. Qualche anno dopo, la società biancoceleste prese dalla Juve due glorie assolute: Carletto Parola e il bomber danese John Hansen. Entrambi ultratrentenni, avevano già il meglio alle spalle, specie Parola, che giocò soltanto 7 partite con la nuova maglia. Andò meglio ad Hansen, che chiuse la sua unica stagione romana con 15 reti. A partire dagli anni Ottanta, gli scambi diretti fra le due società diventarono frequenti. Oltre al già citato Nedved, approdarono in bianconero giocatori di grande caratura, come Manfredonia, Michael Laudrup, Di Canio, Boksic (che poi tornò alla Lazio, centrando lo scudetto con Eriksson), Salas, Lichtsteiner, Giannichedda; nel senso inverso si spostarono Casiraghi, Jugovic, Kovacevic. Ci sono poi uomini che hanno legato a questa sfida alcune delle loro pagine più belle. Valga l'esempio di Alessandro Murgia, che il 31 agosto 2017, entrato in campo da una decina di minuti, fece esplodere l'Olimpico segnando in pieno recupero il gol del 3-2 che diede la Supercoppa Italiana alla Lazio. O di Stefano Fiore, che nella doppia finale della Coppa Italia del 2003-04 fu letale per la Juventus, segnando due volte all'andata (2-0 per la Lazio) e una al ritorno (2-2). Ai biancocelesti rimase invece particolarmente indigesto il... Pepe bianconero. Il centrocampista, nato peraltro a pochi chilometri da Roma, decise entrambe le sfide giocate nel 2011, a cavallo tra due stagioni. Il 2 maggio firmò lo 0-1 all'Olimpico agli ultimi palpiti dell'incontro; il 26 novembre, fece il bis: stesso risultato e stesso stadio. Qualche mese dopo, l'11 aprile del 2012, segnò il terzo gol consecutivo alla Lazio, avviando la vittoria per 2-1 della Juve allo Stadium. Fu un pezzo di bravura: Pirlo lo pescò alla sua maniera al centro dell'area. Spalle alla porta, Pepe trovò il modo di arrestare con il petto e battere Marchetti in rovesciata.Negli incubi della Lazio c'è sicuramente Dybala, con i suoi nove gol ai biancocelesti in sei stagioni. Pesantissimo quello del 3 marzo 2018: la partita fu in equilibrio sullo 0-0 fino all'ultimo, ma al 93' l'argentino confezionò una giocata da fuoriclasse: in un fazzoletto dribblò Luiz Felipe, tenne lontano dalla palla Parolo, facendo scudo con il corpo; poi, cadendo, infilò un sinistro sotto l'incrocio lontano. Grazie a quella magia la Juve uscì dall'Olimpico con tre punti fondamentali per il settimo scudetto consecutivo dell'era Conte-Allegri.
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