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Roberto Mancini, dalla favola di Wembley all'incubo eliminazione da Qatar 2022
Pubblicata il 25/03/2022
©Shutterstock/No use without permission
Quali che saranno le decisioni e gli sviluppi nelle prossime settimane, si può già dire che la sua sia una delle vicende più bizzarre e insolite che possano capitare a un tecnico. Ha preso una Nazionale nella polvere, l'ha portata al trionfo e l'ha riadagiata nell'incubo. Una epopea esaltante e drammatica che Roberto Mancini ha consumato in soli quattro anni. Ora, con il disastro macedone ancora freschissimo, è tutto un “l'avevo detto”, “l'avevamo scritto”, “lo dicevo da anni”. La critica, almeno in parte, tende a etichettare il titolo europeo della scorsa estate come un episodio fortunato, una concausa di circostanze favorevoli dietro alle quali si celava una squadra modesta. Niente di nuovo, dopo tutto: capitò anche alla Nazionale campione del mondo nel 1982, quando visse un dopo-trionfo deludente.
In realtà, il cammino del Mancini ct è stato, statistiche alla mano, più che positivo: su 47 partite, ne ha vinte 30, pareggiate 13 e perse soltanto 4. Quanto agli Europei, non si sostiene il confronto con squadre come Spagna e Inghilterra (a casa loro) senza aver costruito un impianto di alto livello. È vero però che la conturbante qualità del gioco azzurro si è via via opacizzata, fino a mutare in una inquietante sterilità offensiva. Basti pensare che nelle ultime nove gare ufficiali la squadra di Mancini ha segnato soltanto 7 volte, non considerando il 5-0 rifilato alla Lituania in una partita facile e inutile. E due di queste sette reti sono venute nella finalina per il terzo posto nella Nations League, una tipologia di gara dove di solito la caccia al gol è tutt'altro che complicata. Il naufragio con la Macedonia ha in questo senso ha riassunto tutte le difficoltà offensive degli azzurri, capaci di tambureggiare per 90 minuti sulla trequarti avversaria, partorendo appena un paio di vere occasioni da gol.
Chiaro che la mancanza di grandi attaccanti italiani è un fardello non da ridere, anche perché l'unico bomber prolifico in campionato, Immobile, si arena sistematicamente nella mediocrità quando veste la maglia azzurra. Però proprio il destino del centravanti della Lazio chiama in causa le scelte del ct: Mancini ha puntato senza riserve su un tridente offensivo con gli esterni rigorosamente a piede invertito. I quali fanno quello che viene loro più facile: prendono palla e convergono al centro, fidando sul piede forte. In presenza di difese chiuse a riccio, questa dinamica non fa che affollare la fascia centrale, riducendo gli spazi e le opportunità per il centravanti. Non a caso ci siamo salvati spesso con Chiesa, l'unico esterno che, usando i due piedi, può puntare al centro o andare largo. Ma il cross dai versanti laterali non è mai stata un'opzione nelle idee del ct, tanto che Scamacca, l'unico attaccante in grado di farsi rispettare nel gioco aereo, contro la Macedonia non era neanche in panchina.
La bontà del lavoro di Mancini non è in discussione, per tutto ciò che è accaduto dal suo avvento al titolo europeo. Ma la storia insegna che dopo un grande successo bisogna essere pronti a cambiare: difficile, per esempio, dare ragione al ct quando tiene fuori un giocatore n piena emersione come Tonali per affidarsi a un Jorginho spento e appesantito dal rigore sbagliato con la Svizzera, che ci avrebbe portato ai mondiali. Sullo sfondo della “tragedia”, non dimentichiamolo, c'è sempre la mancanza di campioni, specialmente in qualche zona di campo. Proprio per questo, l'opera di Mancini è da considerare quasi prodigiosa. Ora però i nodi sono di nuovo al pettine, e non basterà un tecnico, per quanto illuminato, a scioglierli.
In realtà, il cammino del Mancini ct è stato, statistiche alla mano, più che positivo: su 47 partite, ne ha vinte 30, pareggiate 13 e perse soltanto 4. Quanto agli Europei, non si sostiene il confronto con squadre come Spagna e Inghilterra (a casa loro) senza aver costruito un impianto di alto livello. È vero però che la conturbante qualità del gioco azzurro si è via via opacizzata, fino a mutare in una inquietante sterilità offensiva. Basti pensare che nelle ultime nove gare ufficiali la squadra di Mancini ha segnato soltanto 7 volte, non considerando il 5-0 rifilato alla Lituania in una partita facile e inutile. E due di queste sette reti sono venute nella finalina per il terzo posto nella Nations League, una tipologia di gara dove di solito la caccia al gol è tutt'altro che complicata. Il naufragio con la Macedonia ha in questo senso ha riassunto tutte le difficoltà offensive degli azzurri, capaci di tambureggiare per 90 minuti sulla trequarti avversaria, partorendo appena un paio di vere occasioni da gol.
Chiaro che la mancanza di grandi attaccanti italiani è un fardello non da ridere, anche perché l'unico bomber prolifico in campionato, Immobile, si arena sistematicamente nella mediocrità quando veste la maglia azzurra. Però proprio il destino del centravanti della Lazio chiama in causa le scelte del ct: Mancini ha puntato senza riserve su un tridente offensivo con gli esterni rigorosamente a piede invertito. I quali fanno quello che viene loro più facile: prendono palla e convergono al centro, fidando sul piede forte. In presenza di difese chiuse a riccio, questa dinamica non fa che affollare la fascia centrale, riducendo gli spazi e le opportunità per il centravanti. Non a caso ci siamo salvati spesso con Chiesa, l'unico esterno che, usando i due piedi, può puntare al centro o andare largo. Ma il cross dai versanti laterali non è mai stata un'opzione nelle idee del ct, tanto che Scamacca, l'unico attaccante in grado di farsi rispettare nel gioco aereo, contro la Macedonia non era neanche in panchina.
La bontà del lavoro di Mancini non è in discussione, per tutto ciò che è accaduto dal suo avvento al titolo europeo. Ma la storia insegna che dopo un grande successo bisogna essere pronti a cambiare: difficile, per esempio, dare ragione al ct quando tiene fuori un giocatore n piena emersione come Tonali per affidarsi a un Jorginho spento e appesantito dal rigore sbagliato con la Svizzera, che ci avrebbe portato ai mondiali. Sullo sfondo della “tragedia”, non dimentichiamolo, c'è sempre la mancanza di campioni, specialmente in qualche zona di campo. Proprio per questo, l'opera di Mancini è da considerare quasi prodigiosa. Ora però i nodi sono di nuovo al pettine, e non basterà un tecnico, per quanto illuminato, a scioglierli.