Filtra
Scegli paese
Ronaldo, un Fenomeno tra gli umani del pallone
Pubblicata il 14/03/2022
©Shutterstock/No use without permission
Fenomeno. Una parola spesso abusata che, sfogliando il dizionario, si riferisce a “cosa o persona singolare, fuori da comune, che desta meraviglia per qualità eccezionali”. Per gli amanti del calcio, però, ciò che si scrive fenomeno si legge Ronaldo Luis Nazario da Lima, per tutti semplicemente Ronaldo. Un calciatore fuori dal comune, a partire dai suoi esordi europei, nella fredda, freddissima Eindhoven, città olandese dove leggenda narra che fu lo stesso Romario, altro di quei talenti che solo il Brasile è in grado di sfornare, a consigliare al Fenomeno di muovere lì i primi passi nel Vecchio Continente. “Cosa c’è a Eindhoven?”. “Freddo” E poi?” – “La Philips.” – “E poi?”. “Basta. Il freddo e la Philips”. Fu più o meno questo il dialogo tra Baixinho e il Fenomeno, poche semplici parole che rendono bene l’idea di un calcio che non c’è più, ma soprattutto di giocatori che non esistono più. Parte dall’Olanda il percorso calcistico di Ronaldo il Fenomeno, passa per Barcellona per arrivare a Milano, sponda Inter, dove mostrò a tutti un calcio mai visto, forse neanche mai immaginato, fatto di velocità, tecnica, classe, tempismo, genialità, tutto a mille all’ora, come solo lui era in grado di fare, e proseguito poi per Real Madrid, Milan e Corinthians. In tutto 452 partite, 295 gol, 76 assist e 35.595 minuti giocati: i numeri raccontano che con lui in campo si partiva dall’1-0. Ma quello che le statistiche non riescono a raccontare è la sensazione di impotenza dei suoi avversari, difensore cresciuti ad anticipi e coppe alzate negli stadi più importanti del mondo, in una Serie A – quella degli anni ‘90 - in cui ogni domenica si giocava una sfida che, per protagonisti in campo,
a aveva da invidiare a un match di un Mondiale. Javier Zanetti, suo storico compagno di squadra all’Inter, lo ricorda come “uno dei più forti con cui ho giocato” mentre per rendere bene l’idea di terrore degli avversari bisogna prendere in prestito una battuta di Fabio Cannavaro, campione del mondo con l’Italia nel 2006 e Pallone d’Oro. “Al primo controllo ti superava, al secondo ti bruciava, al terzo ti umiliava. Sembrava un extraterrestre”. Difficile anche immaginarlo un giocatore così per chi non ha avuto la fortuna di vederlo. Uno di quelli capaci di rivoluzionare il gioco, al pari di Johan Cruyff, Diego Armando Maradona, Pelè; per molti, tra il sacro e il profano, esiste un calcio avanti Ronaldo e uno dopo Ronaldo.
Ma se c’è una partita in cui forse più delle altre Ronaldo il Fenomeno ha mostrato il suo strapotere è stata la finale di Coppa Uefa 1997/98 disputata al Parco dei Principi di Parigi il 6 maggio 1998 tra Inter e Lazio. “Nella finale di Coppa Uefa con la Lazio, dove tra l’altro feci gol anche io – ricorda Zanetti in un’intervista a Calcio.com – il terzo gol suo ci ha dato la tranquillità di aver vinto la partita. Rivedendolo da dietro, il dribbling che fa al portiere solo i fenomeni lo possono fare”. Eccolo il termine fenomeno che ritorna, e non per caso: in quel doppio passo davanti all’incredulo Luca Marchegiani, che cerca di rimanere in piedi fino all’ultimo, invano, c’è condensato tutto il mondo di Ronaldo. Classe, tecnica, velocità, genialità; qualcosa di mai visto su un campo da calcio e che forse non si rivedrà mai più. Un Fenomeno, però, frenato dagli infortuni, vero tallone d’Achille del brasiliano che, senza di essi, sarebbe stato ancora più dominante, una macchina perfetta, un’arma di distruzione per le difese neanche lontanamente immaginabile. Ronaldo è sempre stato il Fenomeno, un calciatore fuori dal comune, capace di destare meraviglia per le sue qualità eccezionali, di ispirare le generazioni future, di meritarsi un soprannome tanto importante anche quando non c’era alcuna possibilità di confonderlo con qualcun altro perché, come lui, nessuno mai.
Ma se c’è una partita in cui forse più delle altre Ronaldo il Fenomeno ha mostrato il suo strapotere è stata la finale di Coppa Uefa 1997/98 disputata al Parco dei Principi di Parigi il 6 maggio 1998 tra Inter e Lazio. “Nella finale di Coppa Uefa con la Lazio, dove tra l’altro feci gol anche io – ricorda Zanetti in un’intervista a Calcio.com – il terzo gol suo ci ha dato la tranquillità di aver vinto la partita. Rivedendolo da dietro, il dribbling che fa al portiere solo i fenomeni lo possono fare”. Eccolo il termine fenomeno che ritorna, e non per caso: in quel doppio passo davanti all’incredulo Luca Marchegiani, che cerca di rimanere in piedi fino all’ultimo, invano, c’è condensato tutto il mondo di Ronaldo. Classe, tecnica, velocità, genialità; qualcosa di mai visto su un campo da calcio e che forse non si rivedrà mai più. Un Fenomeno, però, frenato dagli infortuni, vero tallone d’Achille del brasiliano che, senza di essi, sarebbe stato ancora più dominante, una macchina perfetta, un’arma di distruzione per le difese neanche lontanamente immaginabile. Ronaldo è sempre stato il Fenomeno, un calciatore fuori dal comune, capace di destare meraviglia per le sue qualità eccezionali, di ispirare le generazioni future, di meritarsi un soprannome tanto importante anche quando non c’era alcuna possibilità di confonderlo con qualcun altro perché, come lui, nessuno mai.