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Il Torino compie 115 anni, la storia del club granata

Pubblicata il 02/12/2021
Il Torino compie 115 anni, la storia del club granata
©Shutterstock/No use without permission
Si può essere tifosi del Torino, ma non si può essere “contro” il Torino, a parte la logica rivalità cittadina che separa il club granata dalla Juventus. Nato il 3 dicembre 1906 e giunto quindi ai suoi 115 anni di vita, il Toro rappresenta forse più di ogni altro club di calcio nazionale un patrimonio comune e valori da tutelare e tramandare.Tutto questo, perfino banale ricordarlo, ha origine nel dramma epocale di Superga, che azzerò una squadra in grado davvero di unire in una sconfinata ammirazione l'Italia post bellica, in cerca di modelli positivi su cui ricominciare a vivere. Valentino Mazzola, Maroso, Gabetto, Loik, Castigliano e gli altri sono stati i campioni di tutti, come in seguito nessuno (tranne forse il luminoso esempio di Gigi Riva) è riuscito ad essere. Quella del Toro è una storia di appartenenza, di radici. E di simboli, come lo Stadio Filadelfia, nel quale il “tremendismo” granata trovava i suoi interpreti. Per anni, anche dopo la scomparsa del Grande Torino, è stato quello il santuario del club e la culla dei giovani prodotti dal vivaio. Racconta Paolino Pulici che il vecchio Oberdan Ussello, tecnico e anima delle giovanili, ripeteva spesso ai ragazzi: «Ogni volta che entrate qui dentro ricordatevi che quelli lassù vi guardano».Prima di Superga, prima della guerra, il Toro era comunque già nell'aristocrazia del calcio italiano: tra gli anni Venti e Trenta vinse due scudetti (uno poi revocato) incantando con il “trio delle meraviglie”, le due mezzali Baloncieri e Rossetti e il centravanti oriundo Libonatti. Dopo Superga, la caduta fu verticale, fino alla B, ma la riemersione fu rapida. Il dramma però si riaffacciò in una terribile serata di ottobre, nel 1967, quando Gigi Meroni, artista in campo e fuori e talento raro, fu travolto e ucciso da un'auto mentre attraversava la strada. E forse soltanto in un club così particolare poteva succedere che l'investitore, Attilio Romero, ne divenisse presidente, 33 anni più tardi. Elaborando i propri lutti, il Toro arrivò di nuovo allo scudetto (il settimo e a oggi ultimo) negli anni Settanta, con una squadra che di nuovo seppe aggregare simpatie trasversali, quella dei “Gemelli del Gol” Pulici e Graziani, del “Poeta” Claudio Sala e del burbero Radice in panchina. E poi, presidenti storici, come Pianelli, e altri improbabili (per tutti, il notaio Goveani); periodi fertili e cadute dolorose, fino al fallimento del 2005 e alla risalita con Cairo, che ha dato stabilità al club senza riuscire, fino a oggi, a farlo tornare grande. Essere del Torino, del resto, implica un destino di sofferenza, da sconfiggere lottando ogni giorno, sotto lo sguardo di “quelli lassù”.
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