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Un anno senza Paolo Rossi, il ricordo di “Pablito” immortale

Pubblicata il 09/12/2021
Un anno senza Paolo Rossi, il ricordo di “Pablito” immortale
©Shutterstock/No use without permission
Un anno senza Paolo Rossi? Forse non è la formula adatta. Piuttosto, dal 9 dicembre 2020 a oggi si è celebrata la riscoperta di Paolo Rossi, che negli ultimi tempi era finito volontariamente nell'ombra, tra occupazioni familiari e impegni extracalcio. A rispolverarne il mito c'è voluto un attimo: Pablito fa e farà sempre parte del costume e della memoria nazionali, è il simbolo sorridente di una squadra che andò ben oltre il calcio, rischiarando l'orizzonte di un'Italia prostrata da anni di trame oscure, stragi ed estremismi sanguinari. In campo, fu la rivincita degli uomini normali: non potente, non velocissimo, non funambolico, tormentato da due ginocchia precocemente usurate; ma scaltro come nessuno, rapido, sempre un paio di mosse in anticipo rispetto agli avversari. Tutti lo collegano al Mundial 1982, da cui uscì campione del mondo, capocannoniere e Pallone d'Oro; ma chi lo ha seguito nell'arco di tutta la carriera sa bene che il Rossi migliore fu quello pre-squalifica, esploso nel Vicenza e approdato in azzurro appena in tempo per mostrare miracoli al Mondiale di Argentina, nel 1978. A quei tempi era davvero un castigo di dio, scompariva nelle mischie e riappariva magicamente per l'ultimo tocco, quello decisivo. Ed erano tempi di arcigne marcature a uomo, con il cartellino giallo che scattava solo in caso di sevizie efferate. In quel calcio di 0-0 ripetuti, di gol rari e preziosi come diamanti, Rossi nel 1977-78 segnò 24 gol in 30 partite, portando il Vicenza di Fabbri, neopromosso, a un passo dallo scudetto. Ci si è chiesti in questi giorni quanti gol avrebbe fatto nel calcio attuale. Discorsi magari un po' oziosi, come quasi tutti i paragoni sportivi che viaggiano nel tempo. Ragionevole pensare che i difensori attuali, molto attenti ad osservare la palla e l'allineamento, ma spesso disinteressati ai movimenti degli avversari, avrebbero avuto problemi seri contro uno come lui. Il suo spietato killeraggio era temperato dal sorriso, dall'educazione e dalla disponibilità, sicché Rossi piaceva veramente a tutti, mamme e nonne comprese. Poi sul suo capo piombò la mannaia del calcio scommesse, un giro losco nel quale si trovò coinvolto per ingenuità, più che per colpa. E da cui si è sempre professato estraneo. Ne uscì affievolito, arrugginito e molto meno disposto a sorridere. Bearzot lo volle ai Mondiali e non si sognò di toglierlo neanche dopo le prime, disarmanti prestazioni, convinto che solo ritrovando Pablito avrebbe potuto sperare di andare fino in fondo. Il resto è storia, e anche dolore, se pensiamo a cosa evoca in Brasile il suo nome. Raccontava lui stesso di quella volta che andò a San Paolo per un torneo di veterani, insieme ad altri ex azzurri. Dalla tripletta segnata alla Seleçao erano passati sette anni, ma quando provò a prendere un taxi, l'autista lo riconobbe e non gli diede altra alternativa che scendere subito. E in campo fu bersagliato da cori ostili e perfino da un oggetto contundente (una pila, si disse). Rossi lo raccontava senza astio e, naturalmente, con il sorriso.
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