Ventura saluta il calcio: dalla gavetta al fallimento azzurro, la storia del tecnico

Pubblicata il 12/11/2021
Ventura saluta il calcio: dalla gavetta al fallimento azzurro, la storia del tecnico
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Gian Piero Ventura dà l’addio alla panchina. Il tecnico genovese, commissario tecnico dell’Italia che fallì la qualificazione al mondiale di Russia 2018, ha annunciato l’intenzione di non sedersi più in panchina alla soglia dei 74 anni. La rivincita della gavetta, la dimostrazione che ben oltre i sessanta anni si potesse vivere una seconda giovinezza fino ad arrivare a guidare la propria nazionale. Questo era in partenza il messaggio lanciato da Ventura, partito dalla Serie D ligure nel 1980. Il primo exploit a Lecce, doppia promozione consecutiva con vittoria in C1 – l’unico successo tra i professionisti in carriera – e terzo posto in B. La serie A, conquistata sul campo, non arriva subito: prima c’è da riportare in massima serie il Cagliari con cui poi l’anno successivo ottenne una meritata salvezza. Sembrava pronto a spiccare il volo, ma per diversi anni arrivarono fallimenti, retrocessioni, prima dell’esperienza di Pisa, dove grazie a un 4-2-4 champagne portò i toscani alle soglie della A. Fu proprio quel modulo, per larghi tratti similare a quello di Conte, a portarlo nel Bari. Il primo anno fu da cineteca, portando a casa un meraviglioso decimo posto giocando ancora un calcio bello e redditizio. Sembra tornato il vecchio Ventura, Cairo lo sceglie per riportare il Toro in A, mai scelta fu più azzeccata per quella che resterà l’esperienza più lunga su una panchina. I granata arrivano addirittura in Europa League, diventando la prima italiana a violare la cattedrale del San Mames. Finita l’esperienza piemontese il suo destino è legato ancora una volta ad Antonio Conte, diventando nuovamente il suo successore, questa volta addirittura alla guida dell’Italia. Mossa un po’ a sorpresa del presidente Tavecchio che lo scelse per il suo essere “un vero maestro di calcio”. Il passaggio al 3-5-2 visto con ottimi risultati al Toro, fu il vestito iniziale scelto per un’Italia apparsa però in difficoltà. Si tornò alle origini, uno spregiudicato 4-2-4 con due punte centrali come Belotti e Immobile insieme a due esterni offensivi come Insigne e Candreva. Il cambio portò i frutti in amichevoli importanti contro Olanda e Uruguay, ma nella decisiva sfida per il primo posto nel girone contro la Spagna, questa scelta mostrò il fianco agli spagnoli che dominarono la scena vincendo 3-0. Il resto è una delle pagine più nera del calcio italiano, la sconfitta per 1-0 in Svezia nei playoff vide tornare nuovamente il 3-5-2, modulo confermato anche nel match di ritorno a San Siro dove si affidò per la prima volta a Jorginho, dal tecnico ritenuto non idoneo al suo gioco, lasciando per gli interi 90’ tre difensori contro il
a offensivo degli scandinavi, per poi concludere l’opera, già resa drammatica dall’eliminazione, con l’assenza ai microfoni Rai e le mancate dimissioni iniziali nella conferenza di fine partita. Dopo quel momento il suo credito è finito, quattro partite a Verona con il Chievo ed un decimo posto con la Salernitana, prima dell’addio definitivo.