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Zeman nella storia: festeggiate le 1000 gare nei “pro”
Pubblicata il 10/11/2021
©Shutterstock/No use without permission
Mille panchine da professionista, questo è il traguardo appena centrato da Zdenek Zeman il 7 novembre 2021 in un Foggia-Paganese di Lega Pro, a quasi quarant’anni dall’esordio in Coppa Italia, della vecchia serie C nel derby tra Licata e Akragas.
Ne è passata di acqua sotto i ponti per uno dei tecnici più controversi negli ultimi anni, ma sicuramente tra i più amati a dispetto di una bacheca praticamente vuota (1 campionato di C2 e due di Serie B). Quello che affascina il boemo, non è il palmares ma la sua mentalità, la voglia di farne sempre uno in più degli avversari, perché si vince così.
Non può passare sotto traccia la sua favola di Foggia, dove ha portato una squadra di serie B a vivere un sogno giocando un calcio dominante riproposto anche in massima serie. Nasce lì Zemanlandia, il tridente Signori-Baiano-Rambaudi, con il primo preso come un’ala sconclusionata e diventato uno dei più grandi cannonieri del calcio del Belpaese. Proprio questo atteggiamento ha continuato nel tempo a conquistare milioni di tifosi, senza bandiera. La sua ricerca ossessiva di un gioco spettacolare, il 4-3-3 come unico vero dogma e una fase difensiva lasciata troppo spesso alla bravura dei difensori per privilegiare le trame offensive, provate e riprovate allo sfinimento. Dalle sue “mani” sono usciti campioni veri, come i tre “pescaresi” Verratti-Insigne-Immobile lanciati ancora ragazzini in Abruzzo e diventati campioni d’Europa pochi mesi fa. Devono tanto a lui Alessandro Nesta, Pavel Nedved e soprattutto Francesco Totti, per Zeman il calciatore più forte mai allenato. Fenomeni che alla lunga sarebbero usciti certamente, ma forgiati dal lavoro, anche massacrante, del nipote di Vycpalek.
Pregi e difetti: di certo un carattere duro, senza grigi non l’ha aiutato. Nel periodo migliore della sua carriera, alla guida della Lazio prima e della Roma poi, la dura accusa sul doping, attaccando principalmente la Juve dominatrice d’Italia e d’Europa, fatto, che a sua detta, gli ha provocato diversi problemi in carriera solo per aver scoperchiato un vaso di Pandora di cui tutti erano a conoscenza ma tacevano. Oltre a questo altre pecche di campo: bello quel modo di giocare valso anche una citazione sulla Treccani, senza però prendere mai seriamente l’idea che il calcio in questi anni è mutato notevolmente. Il non sapersi mai reinventare senza trovare le giuste contromosse lo ha portato ad accumulare un sempre un crescente numero di esoneri fino ad essere praticamente dimenticato ma lui non interessa perché pur perseguendo sempre la vittoria, “meglio ultimi che senza dignità” un suo mantra che ci rivela che non cambierà mai, anche tra altre 1000 panchine.
Ne è passata di acqua sotto i ponti per uno dei tecnici più controversi negli ultimi anni, ma sicuramente tra i più amati a dispetto di una bacheca praticamente vuota (1 campionato di C2 e due di Serie B). Quello che affascina il boemo, non è il palmares ma la sua mentalità, la voglia di farne sempre uno in più degli avversari, perché si vince così.
Non può passare sotto traccia la sua favola di Foggia, dove ha portato una squadra di serie B a vivere un sogno giocando un calcio dominante riproposto anche in massima serie. Nasce lì Zemanlandia, il tridente Signori-Baiano-Rambaudi, con il primo preso come un’ala sconclusionata e diventato uno dei più grandi cannonieri del calcio del Belpaese. Proprio questo atteggiamento ha continuato nel tempo a conquistare milioni di tifosi, senza bandiera. La sua ricerca ossessiva di un gioco spettacolare, il 4-3-3 come unico vero dogma e una fase difensiva lasciata troppo spesso alla bravura dei difensori per privilegiare le trame offensive, provate e riprovate allo sfinimento. Dalle sue “mani” sono usciti campioni veri, come i tre “pescaresi” Verratti-Insigne-Immobile lanciati ancora ragazzini in Abruzzo e diventati campioni d’Europa pochi mesi fa. Devono tanto a lui Alessandro Nesta, Pavel Nedved e soprattutto Francesco Totti, per Zeman il calciatore più forte mai allenato. Fenomeni che alla lunga sarebbero usciti certamente, ma forgiati dal lavoro, anche massacrante, del nipote di Vycpalek.
Pregi e difetti: di certo un carattere duro, senza grigi non l’ha aiutato. Nel periodo migliore della sua carriera, alla guida della Lazio prima e della Roma poi, la dura accusa sul doping, attaccando principalmente la Juve dominatrice d’Italia e d’Europa, fatto, che a sua detta, gli ha provocato diversi problemi in carriera solo per aver scoperchiato un vaso di Pandora di cui tutti erano a conoscenza ma tacevano. Oltre a questo altre pecche di campo: bello quel modo di giocare valso anche una citazione sulla Treccani, senza però prendere mai seriamente l’idea che il calcio in questi anni è mutato notevolmente. Il non sapersi mai reinventare senza trovare le giuste contromosse lo ha portato ad accumulare un sempre un crescente numero di esoneri fino ad essere praticamente dimenticato ma lui non interessa perché pur perseguendo sempre la vittoria, “meglio ultimi che senza dignità” un suo mantra che ci rivela che non cambierà mai, anche tra altre 1000 panchine.